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Libertà di espressione in Italia. Intervista a Stefano Corradino

di Diletta Aurora Della Rocca
20 Gennaio 2019
in Interviste
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Proviamo a tracciare un bilancio del giornalismo in Italia negli ultimi anni. Oggi l’informazione è meno libera del passato?

“Rispondo con tre numeri: Settantatre. Centosettantuno. Ventuno. 73 è l’indecorosa posizione del nostro Paese nella classifica mondiale della libertà di stampa, realizzata come ogni anno da Reporters sans Frontières. L’Italia nel 2014 si piazza tra la Moldavia e il Nicaragua, perdendo ben 24 posizioni rispetto all’anno precedente. 171 è il numero dei giornalisti minacciati e intimiditi solo nel 2015 secondo i dati dall’osservatorio di Ossigeno per l’Informazione. 21 sono gli anni che attendiamo una legge sul conflitto di interessi.”

 Lei è fondatore del magazine online “Articolo 21” che ha come modus operandi quello di promuovere la libertà di stampa. Nel corso della sua attività giornalistica ha subito intimidazioni?

“Fortunatamente no. In questi nove anni in cui ho avuto il privilegio di dirigere la redazione del sito di Articolo21 non ho mai ricevuto pressioni per censurare una notizia. Nei tredici anni di esistenza del sito abbiamo scelto di non avere finanziatori pubblici e nemmeno privati: né padrini né padroni. Un gruppo di lavoro fatto di volontari che ci rende liberi di diffondere ciò che riteniamo di interesse pubblico sui nostri temi.”

 Michele Albanese, Lucio Musolino e Guido Scarpino sono tre dei tanti giornalisti calabresi minacciati a causa del loro lavoro. Più le notizie sono difficili da trattare più i cronisti vengono minacciati. Perché? 
“L’elenco dei giornalisti minacciati malauguratamente si allunga di giorno in giorno. Per un cronista, soprattutto se vive in una realtà ad alta densità criminale, raccontare la verità può costare la vita. La lista dei giornalisti ammazzati in questi decenni è lunga come anche quella dei cronisti che devono vivere sotto scorta e rinunciare alla loro libertà perché hanno “osato” smascherare, da nord a sud gli intrecci tra criminalità, potere politico ed economico. Come si risolve tutto questo? Intanto approvando rapidamente una legge seria contro le “querele temerarie”, una forma di intimidazione preventiva dei giornalisti. Ma è anche importante attuare una costante “scorta mediatica”, affinché i giornalisti minacciati non vengano lasciati soli.”

Mi viene in mente la vicenda che ha colpito la redazione cosentina de “L’Ora della Calabria”. Il direttore Luciano Regolo ha rifiutato di oscurare una notizia andando contro l’editore. Il giornalismo potrà mai sopravvivere senza piegarsi alle logiche di potere?

“Quello di Regolo è stato un atto di coraggio e un esempio per la categoria. Purtroppo non è sempre così e troppo spesso siamo testimoni di un’etica progressivamente smarrita di tanti giornalisti che hanno perso di vista la missione dell’informazione come servizio, bene comune, ricerca della verità, rispetto delle persone, indipendenza del giudizio. La situazione cambierà quando nella nostra categoria capiremo che il ruolo dei giornalisti è di essere cani da guardia del potere e non da riporto.

Ha senso parlare di Macchina del Fango?

“La “macchina del fango” esiste da sempre ed è purtroppo ben oliata. E’ il meccanismo attraverso il quale si costruisce a tavolino una campagna di diffamazione a mezzo stampa, mischiando fatti reali (pochi) a falsità e illazioni (numerosissime).Un caso tra i più emblematici fu quello dell’ex direttore dell’Avvenire Boffo.”

 

 

 

*Intervista che ha partecipato al Premio Giornalistico “Giancarlo Siani- Unisob- Suor Orsola Benincasa”

 

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