E’ stato presentato il secondo rapporto sulla situazione occupazionale nel nostro Paese, elaborato dal Ministero del Lavoro in concerto con Istat, Inps, Inail e Anpal.
Il report, finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti sulla struttura e la dinamica del mercato del lavoro in Italia, pone l’attenzione sul fatto che “nel nostro paese, il mercato del lavoro mostra una sostanziale tenuta, a fronte di segnali di flessione dei livelli di attività economica”.
Gli approfondimenti presentati nel volume affrontano più tematiche intrecciando gli aspetti congiunturali e ciclici con l’evoluzione del quadro strutturale, segnato dall’uscita da una recessione profonda e persistente che ha modificato significativamente la struttura produttiva italiana, le caratteristiche dell’occupazione e i comportamenti individuali.
I dettagli del report
Nella media del 2018 il numero di occupati supera il livello del 2008 di circa 125 mila unità. Si sono così recuperati i livelli pre-crisi, ma rispetto a dieci anni fa mancano all’appello poco meno di 1,8 milioni di ore lavorate, ovvero oltre un milione di unità di lavoro a tempo pieno.
I contratti a tempo determinato toccano il livello massimo con 3,1 milioni di occupati. In dieci anni, inoltre, sono triplicate le migrazioni all’estero in cerca di lavoro. In crescita i lavoratori immigrati, disposti ad accettare “lavori disagiati e a bassa specializzazione”.
L’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro
Nel 2017 vi sono stati 773 mila primi ingressi di giovani di 15-29 anni nel lavoro dipendente, parasubordinato e in somministrazione. Essi rappresentano il 35% del totale degli oltre 2 milioni di individui che, nella stessa fascia di età, sono stati interessati dall’avvio di almeno un rapporto di lavoro nell’anno. Il dato risulta in crescita rispetto al 2016 (+28,4%) e in confronto a due anni prima (+34,4%, 198 mila in più). Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso (50%), seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% avviene con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione. Alloggio e ristorazione, trasporto e altri servizi di mercato sono i settori più ricettivi per i giovani alla prima esperienza di lavoro dipendente. Le professioni più frequenti sono camerieri e assimilati (12%), commessi delle vendite al minuto (8,5%), braccianti agricoli (7,4%), lavori esecutivi di ufficio (2,8%).
Sottoutilizzo della forza lavoro in Italia
Con un tasso di disoccupazione all’11,7% nel 2017, l’Italia si colloca al terzultimo posto nella graduatoria Ue 28 (7,6% la media europea). Se si considera il tasso di mancata partecipazione, che oltre ai disoccupati tiene conto delle forze lavoro potenziali disponibili a lavorare, il divario dalla media europea sfiora i dieci punti. Nel complesso, nel 2017 la forza lavoro non utilizzata potenzialmente impiegabile nel sistema produttivo ammonta a circa sei milioni di individui (2,9 milioni disoccupati e 3,1 milioni forze di lavoro potenziali).
Nel 2017, hanno lavorato meno ore di quelle che sarebbero stati disponibili a lavorare circa 1 milione di occupati (4,4% del totale). In media un sottoccupato sarebbe stato disponibile a lavorare circa 19 ore in più a settimana. Complessivamente in termini di Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno ciò corrisponde a 473 mila occupati a tempo pieno. Il tasso di sottoccupazione è più elevato nel Mezzogiorno, tra le donne, tra i giovani e, soprattutto, tra gli stranieri.
Gli occupati sovraistruiti sono 5 milioni 569 mila, il 24,2% del totale e il 35,0% degli occupati diplomati e laureati. Negli anni il fenomeno è in continua crescita, sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata al generale innalzamento del livello di istruzione sia per la mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste e quelle possedute.
In entrambi i casi di sottoutilizzo – sottoccupazione e sovraistruzione – l’incidenza è maggiore tra i dipendenti a termine, tra gli occupati a tempo parziale e nei settori degli alberghi e ristorazione e dei servizi alle famiglie. Gli stranieri sono gli occupati più coinvolti in queste due forme di inadeguatezza dell’impiego svolto.
Aumento dei contratti “brevi”
Nella stima preliminare del quarto trimestre 2018 torna a crescere lievemente l’occupazione permanente (+0,1%) ma è “il tempo determinato (+0,1%)” a toccare “il valore massimo di oltre 3,1 milioni di occupati”. In dieci anni, tra il 2008 e il 2018, i dipendenti con contratto a tempo sono aumentati di 735 mila unità. Un aumento concentrato soprattutto “nei dipendenti con rapporti a termine di durata fino a un massimo di sei mesi (+613mila)”.
Forti le differenze territoriali: tra gli entrati con un contratto temporaneo nel 2014, nel Mezzogiorno solo il 18,2% risulta transitato a un lavoro permanente dopo tre anni, contro una quota circa doppia nel Nord-ovest (36,0%).
Lavoratori dipendenti e tessuti produttivi
I lavoratori dipendenti raggiungono il massimo storico, sfiorando i 18 milioni, nel secondo trimestre 2018 e gli indipendenti il minimo nel primo trimestre 2018 con meno di 5,3 milioni di occupati. Nella stima preliminare del quarto trimestre 2018 torna a crescere lievemente l’occupazione permanente (+0,1%), dopo la caduta del terzo; il tempo determinato (+0,1%) tocca il valore massimo di oltre 3,1 milioni di occupati.
Il decennio – spiega sempre il rapporto pubblicato dall’Istat – ha visto una profonda trasformazione del tessuto produttivo che ha comportato una ricomposizione dell’occupazione verso il lavoro dipendente, con una crescita dei rapporti a tempo determinato (+735 mila) e una notevole espansione degli impieghi a tempo parziale (spesso involontari).
Crescita occupazionale e sviluppo
Questi trend sono connessi allo sviluppo di molte attività nel terziario e di professioni a bassa qualifica. Nei dieci anni è aumentata la presenza femminile, dei lavoratori “anziani”, di quelli più istruiti, e degli stranieri (soprattutto nei settori alberghi e ristorazione, agricoltura e servizi alle famiglie). Si è inoltre accentuato il dualismo territoriale a sfavore del Mezzogiorno (-262 mila occupati a fronte di +376 mila nel Centro-Nord).
Nonostante la crescita dell’occupazione negli ultimi anni, rimane ampia la distanza dell’Italia dall’Ue15, afferma il rapporto: per raggiungere il tasso di occupazione della media Ue15 (nel 2017 pari a 67,9%, contro il 58,0% di quello italiano) il nostro paese dovrebbe avere circa 3,8 milioni di occupati in più. Il gap occupazionale italiano riguarda soprattutto i lavori qualificati e i settori sanità, istruzione e pubblica amministrazione.